I
ricordi, le celebrazioni, vanno ormai scemando e, come ogni
altra notizia "fresca" che per un po' riempie il web e la
carta stampata, anche l'evento della scomparsa del regista Ettore
Scola sta andando ad ingrossare gli archivi di giornali e
siti web.
Ma
ciononostante, Ettore Scola, come molti sanno, è diventato cruciale
per la cultura italiana molto prima che se ne parlasse in
corrispondenza della sua morte, al contrario di personaggi che
raggiungono la notorietà pressoché con la loro scomparsa.
Scola,
in un certo senso, era il cinema italiano.
In
particolare negli ultimi anni era di fatto uno
degli ultimissimi
testimoni di un periodo di splendore assoluto, che va
grosso modo dal dopoguerra ai primi anni '80, nel corso del quale il
miglior cinema italiano ha tracciato la sua parabola di vita.
Fino
a quel 19 gennaio 2016, all'infuori di Scola non era più in vita
alcun regista o sceneggiatore fra i più importanti e rappresentativi
di quell'epoca incredibile, fatta eccezione per pochissimi
nomi (ad esempio Lina Wertmuller).
Per
il resto, scomparsi i Monicelli, Risi, De Sica, Fellini, Germi,
Leone, Petri, Rosi ma anche Zavattini, Age e Scarpelli, De Bernardi,
Benvenuti, Cecchi D'Amico e tanti tanti altri, un'intera generazione
di cineasti nati prevalentemente negli anni '20 e '30 del secolo
scorso, se n'è andata definitivamente e per motivi anagrafici non è
più fisicamente presente nel panorama culturale italiano. Lo stesso
dicasi, ovviamente, per i grandi interpreti (Gassman, Sordi,
Tognazzi, Manfredi, Magnani ecc.).
Rimangono
certamente le opere di ognuno di loro, i film, le sceneggiature e le
interpretazioni ma svanisce definitivamente la possibilità di vedere
ancora sullo schermo qualcosa del genere.
Se
non altro perché il cinema italiano, soprattutto a causa dei
mutamenti culturali e sociali che hanno interessato la società
italiana negli ultimi trent'anni, ora è altra cosa, se
paragonato ai tratti distintivi che la "vecchia scuola"
aveva tracciato e messo a punto. Per questo sarebbe utopistico ed
anche ingenuo pensare ad un revival di quel modo di
fare cinema, a firma dei cineasti di oggi.
Lo
avevano capito in molti, già alla metà degli anni '70, che la
commedia (nella sua declinazione "all'italiana") - ritenuta
da Monicelli lo spettacolo italiano per eccellenza - stava vivendo il
suo declino e che le forme della messinscena in Italia stavano
subendo una profonda mutazione genetica.
Ne
sono prova pellicole quali Amici
Miei (1975)
e Un
borghese piccolo piccolo (1977),
entrambe di Mario Monicelli, che rappresentano in un certo senso un
"manuale" delle trasformazioni in atto in quel periodo.
Negli
stessi anni (siamo nel 1974), Ettore Scola firma uno dei suoi
capolavori, C'eravamo tanto amati, che si inquadra
proprio in quel filone stilistico che mette di forza la commedia
all'italiana davanti allo specchio spingendola ad una riflessione
retrospettiva ed esistenziale intorno al senso della sua stessa vita
e della società che l'ha generata.
Quando
firma il suo capolavoro interpretato dal trio Gassman-Manfredi-Satta
Flores, Scola è già un regista e sceneggiatore affermato: ha
già al suo attivo, infatti, perle come Permette? Rocco
Papaleo, La più bella serata della mia vita, Riusciranno
i nostri eroi..., Il Commissario Pepe ma
probabilmente è proprio C'eravamo tanto amati a
segnare una svolta nella sua carriera. Lo stile di Scola è, infatti,
maturo e definitivamente riconoscibile ed ha già quel "qualcosa"
di personale ed originale che nessun'altro ha.
Scola
inizia la sua carriera circa vent'anni prima, lavorando nel
cinema prevalentemente come sceneggiatore. Infatti, anche
se non è noto ai più, se si scorrono i titoli di testa di
moltissimi dei capolavori della commedia italiana degli anni '50 e
'60, è possibile individuare il suo nome fra gli autori e
sceneggiatori.
Negli anni '50 Scola è fra gli autori di commedie come Un americano a Roma, Accadde al commissariato e Il conte Max, così come di celebri dialoghi che hanno consacrato grandi volti della commedia italiana come quello di Totò.
Negli anni '50 Scola è fra gli autori di commedie come Un americano a Roma, Accadde al commissariato e Il conte Max, così come di celebri dialoghi che hanno consacrato grandi volti della commedia italiana come quello di Totò.
Inoltre,
se negli anni '60 gli onori erano per registi del calibro di Dino
Risi, era anche grazie a sceneggiature che portano la firma di Ettore
Scola. Basti pensare a Il mattatore, I mostri, Il
sorpasso, I complessi.
Ma quando, con Se permettete parliamo di donne (1964) Scola decide di mettersi "in proprio" intraprendendo anche la carriera registica, un nuovo ed originale stile cinematografico, che mescola commedia, neorealismo, grottesco, dramma inizia a prendere forma, distinguendosi nel tempo da quello di altre firme importanti del periodo (in primis Monicelli e Risi).
Certo,
ci vorrà qualche anno prima di raggiungere le vette dei suoi
capolavori più noti, ma ormai la strada era aperta per i fasti degli
anni '70 di Dramma della gelosia, nel quale il trittico
Vitti-Mastroianni-Giannini funziona alla perfezione, del già
citato C'eravamo tanto amati (dedicato al maestro
Vittorio De Sica, con la cui filmografia Scola traccia una continuità
ideale). E poi Brutti sporchi e cattivi, una delle più
grandi e "maledette" interpretazioni di Nino
Manfredi. Il gigantesco ed intenso Una giornata particolare e I nuovi
mostri, chiudono il decennio all'insegna di storie ed
interpretazioni di altissimo livello, rispettivamente grazie alle
performance della coppia Loren-Mastroianni e del trio
Gassman-Tognazzi-Sordi.
La delicatezza e l'intimismo di Che ora è (nel quale Scola costruisce magistralmente l'interazione fra due straordinari Troisi e Mastroianni) fa il paio con il poco conosciuto La cena, nel quale il regista riesce a riunire un cast impressionante, rendendolo forse l'unico film italiano dove recitano insieme, in una performance più unica che rara, Vittorio Gassman, Giancarlo Giannini, Stefania Sandrelli, Riccardo Garrone, Fanny Ardant, Eros Pagni, Rolando Ravello, Antonio Catania, Adalberto Maria Merli, Giorgio Tirabassi, Giorgio Colangeli, Daniela Poggi e tanti altri.
La cinematografia di Scola è allo stesso tempo intellettuale e divertente, raffinata e popolare, in sostanza incarna una sintesi inedita degli elementi drammaturgici e stilistici che il cinema italiano aveva portato a maturazione dal dopoguerra, soprattutto attraverso i due grandi filoni del neorealismo da una parte e della grande commedia dall'altra, grazie ai quali Scola modula la sua poetica originale e personalissima.
Egli
riesce infatti a coniugare il tempo comico con l'asprezza del
neorealismo, il grottesco, la teatralità e l'umorismo della vita di
tutti i giorni con le grandi idealità, il tutto nel solco di una
sottile malinconia sullo sfondo, dove il tempo che scorre inesorabile
spinge a riflessioni impellenti ed esistenziali (clicca
per approfondire).
Scola, Troisi e Mastroianni sul set di "Che ora è" |
Il
suo è quindi anche un cinema del "quotidiano" con una
vocazione fortemente intimista, che però non scade mai
nell'autocompiacimento e nello snobismo di un certo cinema che
agli esperti,
inspiegabilmente, piace definire "d'autore".
È
questa la forza di Scola, quella di far funzionare la
storia simultaneamente su piani drammatici diversi ma
fruibili con la stessa efficacia, caratteristica propria dei grandi
capolavori dell'arte.
Il
viaggio artistico di Scola ha avuto il suo epilogo appena tre anni fa
con Che strano chiamarsi Federico (2013), un omaggio
sincero ed ironico a Federico
Fellini, amico di sempre con il quale Ettore Scola ha
condiviso praticamente ogni istante della sua lunghissima carriera,
fin dai tempi del Marc'Aurelio,
giornale umoristico al quale il regista romano approderà ancora
giovanissimo negli anni '40 ed intorno al quale già si raccoglievano
grandi nomi del cinema e dell'umorismo italiano, fra cui appunto lo
stesso Fellini.
Era
nell'aria che dopo dieci anni di silenzio - in un certo senso forzato
- trascorsi dal suo ultimo Gente di Roma (2003),
Scola fosse tornato dietro la macchina da presa per raccontare
un'amicizia speciale ma anche per realizzare, per l'ultima volta, una
sorta di ricongiungimento ideale con i suoi amici e collaboratori
(oltre a Fellini, un ruolo centrale spetta a Marcello
Mastroianni), nonché con il mondo caleidoscopico fatto di
storie, immagini e suoni che ha caratterizzato la sua esistenza.
Il tutto ha preso forma proprio in quello stesso Teatro 5 di Cinecittà, divenuto leggendario proprio grazie ai film che lì vi girò il suo amico Federico. Proprio grazie a Che strano chiamarsi Federico, quel teatro è tornato a vivere, per un po', e forse per l'ultima volta, prima di riprendere la sua attuale funzione, ovvero quella di ospitare discutibili produzioni televisive nostrane.
Insomma,
non resta che scorrere la sconfinata filmografia di
Ettore Scola composta da ben 40 titoli e selezionarne anche solo uno,
per (ri)vedere ed apprezzare la sua cinematografia e per far
rivivere un gigante della cultura italiana di sempre.
Jurij
Nascimben
(Licenza CreativeCommons
Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale)
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Filmografia di Ettore Scola
- Festival dell'Unità 1972 (1972) - cortometraggio documentaristico
- Festival Unità (1973) - documentario
- Carosello per la campagna referendaria sul divorzio (1975) - cortometraggio documentaristico
- I nuovi mostri (1977) - episodi L'uccellino della Val Padana, Il sospetto, Hostaria,Come una regina, Cittadino esemplare, Sequestro di persona cara ed Elogio funebre
- Vorrei che volo (1982) - documentario
- Il mondo nuovo (La Nuit de Varennes) (1982)
- L'addio a Enrico Berlinguer (1984) - cortometraggio documentaristico
- Imago urbis (1987) - documentario collettivo
- I corti italiani (1997) - episodio 1943-1997
- Un altro mondo è possibile (2001) - documentario collettivo
- Lettere dalla Palestina (2002) - documentario collettivo
(Licenza CreativeCommons
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