giovedì 4 febbraio 2016

Ettore Scola ovvero il Cinema italiano

I ricordi, le celebrazioni, vanno ormai scemando e, come ogni altra notizia "fresca" che per un po' riempie il web e la carta stampata, anche l'evento della scomparsa del regista Ettore Scola sta andando ad ingrossare gli archivi di giornali e siti web. 


Ma ciononostante, Ettore Scola, come molti sanno, è diventato cruciale per la cultura italiana molto prima che se ne parlasse in corrispondenza della sua morte, al contrario di personaggi che raggiungono la notorietà pressoché con la loro scomparsa.


Scola, in un certo senso, era il cinema italiano
In particolare negli ultimi anni era di fatto uno degli ultimissimi testimoni di un periodo di splendore assoluto, che va grosso modo dal dopoguerra ai primi anni '80, nel corso del quale il miglior cinema italiano ha tracciato la sua parabola di vita.

Fino a quel 19 gennaio 2016, all'infuori di Scola non era più in vita alcun regista o sceneggiatore fra i più importanti e rappresentativi di quell'epoca incredibile, fatta eccezione per pochissimi nomi (ad esempio Lina Wertmuller). 

Per il resto, scomparsi i Monicelli, Risi, De Sica, Fellini, Germi, Leone, Petri, Rosi ma anche Zavattini, Age e Scarpelli, De Bernardi, Benvenuti, Cecchi D'Amico e tanti tanti altri, un'intera generazione di cineasti nati prevalentemente negli anni '20 e '30 del secolo scorso, se n'è andata definitivamente e per motivi anagrafici non è più fisicamente presente nel panorama culturale italiano. Lo stesso dicasi, ovviamente, per i grandi interpreti (Gassman, Sordi, Tognazzi, Manfredi, Magnani ecc.).

Rimangono certamente le opere di ognuno di loro, i film, le sceneggiature e le interpretazioni ma svanisce definitivamente la possibilità di vedere ancora sullo schermo qualcosa del genere. 
Se non altro perché il cinema italiano, soprattutto a causa dei mutamenti culturali e sociali che hanno interessato la società italiana negli ultimi trent'anni, ora è altra cosa, se paragonato ai tratti distintivi che la "vecchia scuola" aveva tracciato e messo a punto. Per questo sarebbe utopistico ed anche ingenuo pensare ad un revival di quel modo di fare cinema, a firma dei cineasti di oggi. 

Lo avevano capito in molti, già alla metà degli anni '70, che la commedia (nella sua declinazione "all'italiana") - ritenuta da Monicelli lo spettacolo italiano per eccellenza - stava vivendo il suo declino e che le forme della messinscena in Italia stavano subendo una profonda mutazione genetica. 
Ne sono prova pellicole quali Amici Miei  (1975) e Un borghese piccolo piccolo (1977), entrambe di Mario Monicelli, che rappresentano in un certo senso un "manuale" delle trasformazioni in atto in quel periodo.

Negli stessi anni (siamo nel 1974), Ettore Scola firma uno dei suoi capolavori, C'eravamo tanto amati, che si inquadra proprio in quel filone stilistico che mette di forza la commedia all'italiana davanti allo specchio spingendola ad una riflessione retrospettiva ed esistenziale intorno al senso della sua stessa vita e della società che l'ha generata.

Quando firma il suo capolavoro interpretato dal trio Gassman-Manfredi-Satta Flores, Scola è già un regista e sceneggiatore affermato: ha già al suo attivo, infatti, perle come Permette? Rocco PapaleoLa più bella serata della mia vitaRiusciranno i nostri eroi...Il Commissario Pepe ma probabilmente è proprio C'eravamo tanto amati a segnare una svolta nella sua carriera. Lo stile di Scola è, infatti, maturo e definitivamente riconoscibile ed ha già quel "qualcosa" di personale ed originale che nessun'altro ha. 

Scola inizia la sua carriera circa vent'anni prima, lavorando nel cinema prevalentemente come sceneggiatore. Infatti, anche se non è noto ai più, se si scorrono i titoli di testa di moltissimi dei capolavori della commedia italiana degli anni '50 e '60, è possibile individuare il suo nome fra gli autori e sceneggiatori. 
Negli anni '50 Scola è fra gli autori di commedie come Un americano a RomaAccadde al commissariato e Il conte Max, così come di celebri dialoghi che hanno consacrato grandi volti della commedia italiana come quello di Totò.
Inoltre, se negli anni '60 gli onori erano per registi del calibro di Dino Risi, era anche grazie a sceneggiature che portano la firma di Ettore Scola. Basti pensare a Il mattatoreI mostriIl sorpassoI complessi.

Ma quando, con Se permettete parliamo di donne (1964) Scola decide di mettersi "in proprio" intraprendendo anche la carriera registica, un nuovo ed originale stile cinematografico, che mescola commedia, neorealismo, grottesco, dramma inizia a prendere forma, distinguendosi nel tempo da quello di altre firme importanti del periodo (in primis Monicelli e Risi). 
Certo, ci vorrà qualche anno prima di raggiungere le vette dei suoi capolavori più noti, ma ormai la strada era aperta per i fasti degli anni '70 di Dramma della gelosia, nel quale il trittico Vitti-Mastroianni-Giannini funziona alla perfezione, del già citato C'eravamo tanto amati (dedicato al maestro Vittorio De Sica, con la cui filmografia Scola traccia una continuità ideale). E poi Brutti sporchi e cattivi, una delle più grandi e "maledette" interpretazioni  di Nino Manfredi. Il gigantesco ed intenso Una giornata particolare I nuovi mostri, chiudono il decennio all'insegna di storie ed interpretazioni di altissimo livello, rispettivamente grazie alle performance della coppia Loren-Mastroianni e del trio Gassman-Tognazzi-Sordi.

Quel "qualcosa" di personale ed originale di cui parlavamo porterà, negli anni '80-'90, ai corali e complessi La famiglia e La terrazza ma anche alle perle in costume Passione d'amore, Il mondo nuovo e  Il viaggio di Capitan Fracassa, nei quali Scola dimostra di muoversi con estrema agilità e sapienza anche in ambientazioni storiche.
La delicatezza e l'intimismo di Che ora è (nel quale Scola costruisce magistralmente l'interazione fra due straordinari Troisi e Mastroianni)  fa il paio con il poco conosciuto La cena, nel quale il regista riesce a riunire un cast impressionante, rendendolo forse l'unico film italiano dove recitano insieme, in una performance più unica che rara, Vittorio Gassman, Giancarlo Giannini, Stefania Sandrelli, Riccardo Garrone, Fanny Ardant, Eros Pagni, Rolando Ravello, Antonio Catania, Adalberto Maria Merli, Giorgio Tirabassi, Giorgio Colangeli, Daniela Poggi e tanti altri.

La cinematografia di Scola è allo stesso tempo intellettuale e divertente, raffinata e popolare, in sostanza incarna una sintesi inedita degli elementi drammaturgici e stilistici che il cinema italiano aveva portato a maturazione dal dopoguerra, soprattutto attraverso i due grandi filoni del neorealismo da una parte e della grande commedia dall'altra, grazie ai quali Scola modula la sua poetica originale e personalissima.


Egli riesce infatti a coniugare il tempo comico con l'asprezza del neorealismo, il grottesco, la teatralità e l'umorismo della vita di tutti i giorni con le grandi idealità, il tutto nel solco di una sottile malinconia sullo sfondo, dove il tempo che scorre inesorabile spinge a riflessioni impellenti ed esistenziali (clicca per approfondire).
Scola, Troisi e Mastroianni sul set di "Che ora è"
Il suo è quindi anche un cinema del "quotidiano" con una vocazione fortemente intimista, che però non scade mai nell'autocompiacimento e nello snobismo di un certo cinema che agli esperti, inspiegabilmente, piace definire "d'autore". 
È questa la forza di Scola, quella di far funzionare la storia simultaneamente su piani drammatici diversi ma fruibili con la stessa efficacia, caratteristica propria dei grandi capolavori dell'arte.

Il viaggio artistico di Scola ha avuto il suo epilogo appena tre anni fa con Che strano chiamarsi Federico (2013), un omaggio sincero ed ironico a Federico Fellini, amico di sempre con il quale Ettore Scola ha condiviso praticamente ogni istante della sua lunghissima carriera, fin dai tempi del Marc'Aurelio, giornale umoristico al quale il regista romano approderà ancora giovanissimo negli anni '40 ed intorno al quale già si raccoglievano grandi nomi del cinema e dell'umorismo italiano, fra cui appunto lo stesso Fellini. 
Era nell'aria che dopo dieci anni di silenzio - in un certo senso forzato - trascorsi dal suo ultimo Gente di Roma (2003), Scola fosse tornato dietro la macchina da presa per raccontare un'amicizia speciale ma anche per realizzare, per l'ultima volta, una sorta di ricongiungimento ideale con i suoi amici e collaboratori (oltre a Fellini, un ruolo centrale spetta a Marcello Mastroianni), nonché con il mondo caleidoscopico fatto di storie, immagini e suoni che ha caratterizzato la sua esistenza. 



Il tutto ha preso forma proprio in quello stesso Teatro 5 di Cinecittà, divenuto leggendario proprio grazie ai film che lì vi girò il suo amico Federico. Proprio grazie a Che strano chiamarsi Federico, quel teatro è tornato a vivere, per un po', e forse per l'ultima volta, prima di riprendere la sua attuale funzione, ovvero quella di ospitare discutibili produzioni televisive nostrane.

Insomma, non resta che scorrere la sconfinata filmografia di Ettore Scola composta da ben 40 titoli e selezionarne anche solo uno, per (ri)vedere ed apprezzare la sua cinematografia e per far rivivere un gigante della cultura italiana di sempre.



Filmografia di Ettore Scola

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