Samuel Beckett muore il 22 dicembre del 1989, lasciando in eredità opere di valore inestimabile, le quali, in ambito teatrale, generalmente vengono fatte rientrare nella categoria del "teatro dell'assurdo". La sua creazione più nota è forse Aspettando Godot, che di recente è stata trasposta in questa originale versione di strada, un cortometraggio che prova a ad iniettare le peculiarità e le paranoie del presente nel testo originale, ma mantenendo ed anzi esaltando la vocazione "assurda" dell'opera.
Vladimiro ed Estragone, i protagonisti di "Godot", sono qui due
vecchi amici, abbrutiti da una vita passata ai margini della Città. Si ritrovano così insieme, ad aspettare l'autobus presso una fermata posta in
un paesaggio urbano squallido ed alienante. Nessuno dei due sa
precisamente il perché, né dove quell'autobus li porterà; sanno solo che
devono prenderlo e che il viaggio che intraprenderanno potrebbe
salvargli la vita... Aspettando l'autobus (2011) con Marcello De Falco, Alessandro Rufo, Marcello Urso, Alessandro Ferrazza | Sceneggiatura Jurij Nascimben, liberamente tratta da "Aspettando Godot" di Samuel Beckett | Operatore Alessandro Ferrazza | RegiaJurij Nascimben
Un celebre Maestro era rimasto nun se sa si quanti giorni dell'anno co' la penna in mano e la carta de musica davanti per aspettà che je venisse l'estro: ma, spreme spreme, nun j'usciva gnente. Ècchete che un ber giorno una Mosca zozzona e impertinente agnede franca franca sopra la carta bianca, e je ce fece tanti punti neri come quelli che spesso avrete visto ne le vetrine de li pasticceri. — Chi sà — disse er Maestro — che 'sta Mosca, che m'ha messo 'sti segni, nun conosca le note de la musica? Chissà che lei, senza volello, m'abbia fatto er pezzo der prim'atto? Questo è un do, questo è un re, si, si, la, fa... — E du' o tre vorte lo provò ar pianforte. Er motivo era bello, e da quer giorno, quanno la Mosca je volava intorno, nu' je faceva sciò, nu' la cacciava: anzi, er più de le vorte, se ciaveva er zucchero o er candito, je lo dava pe' fasse fa' più punti che poteva. Ma una matina, invece de falli su la carta, je li fece sopra a certe camice innammidate portate allora da la stiratrice. Che vôi sentì er Maestro! Era un ossesso! — Brutta porca che sei! Brutta vassalla! Chi t'ha imparato a fa' 'ste zozzerie su le camice mie? — E je coreva appresso p'acchiappalla. La Mosca allora j'arispose male; dice: — Vojantri séte tutti eguale: ammazza ammazza, tutti d'una razza. Nun fate caso a certe puzzonate finché ve fanno commodo, ma quanno capite che ve possino fa' danno, diventate puliti, diventate!... Io, invece de chiamalla pulizzia, la chiamerebbe con un antro nome... — Però la Mosca nu' je disse come: fece quattro puntini e scappò via. Trilussa (26/10/1871 - 21/12/1950)
La storia degli strumenti a tastiera è al tempo stesso affascinante e complessa.
Il
pianoforte, ad oggi, rappresenta assieme a pochi altri strumenti quella
che nell'immaginario collettivo è la metafora della musica stessa,
tanto importante è divenuto il suo ruolo nel corso del tempo. In pochi
però si soffermano un istante a pensare quale sia la sua storia ed il
perché di un simile enorme successo che travalica le distinzioni di
genere.
Il
pianoforte moderno non è che l'ultimo atto di un processo di
trasformazione che ha riguardato gli strumenti a tastiera fin dal Medioevo. Ma
il suo predominio mediatico, in qualche modo, nasconde al grande
pubblico la varietà e la ricchezza dei sui "cugini" e progenitori. A
volte, infatti, si tende a pensare che il pianoforte di oggi sia quanto
di più perfetto sia mai stato prodotto nell'ambito degli
strumenti a tastiera, quindi si tende a non andare oltre, a non farsi
troppe domande. Come a dire che è inutile mettersi lì a capire cosa può
aver avuto di interessante un vecchio cellulare degli anni '90 quando
oggi disponiamo di sofisticatissimi smartphone.
Ovviamente,
questo è un ragionamento che se è valido nel settore tecnologico, non
si applica invece al mondo della musica e all'arte in generale. Prima di
tutto perché i progenitori del pianoforte non sono dei "pianoforti menomati",
sono altresì degli strumenti con una loro nobile dignità, spesso
derivante da secoli di perfezionamenti e da caratteristiche peculiari
messe in luce e valorizzate da una letteratura sconfinata. Infine,
lo strabordante peso culturale del pianoforte moderno ha innegabilmente
messo in ombra un'enorme varietà di strumenti sperimentali, i quali
dimostrano che fino a un paio di secoli fa i cembalari erano in attività
per concepire strumenti sempre nuovi, a volte bizzarri e stravaganti,
che dessero un apporto di innovazione al mondo della musica.
Fu proprio nell'ambito di queste ardite sperimentazioni e con questo spirito di ricerca che il pianoforte stesso ebbe la luce. In questo articolo passeremo in rassegna i momenti cruciali di un'evoluzione straordinaria fatta prevalentemente di tasti bianchi e neri e seguiremo la genesi degli strumenti a tastiera almeno fino al consolidamento del pianoforte come lo conosciamo oggi, avvenuto verso la metà dell'Ottocento. Questo viaggio sarà accompagnato da alcuni esempi musicali, esecuzioni su strumenti originali o riproduzioni, che ci consentiranno di comprendere le peculiarità di stili e tendenze musicali.
Dove tutto ebbe inizio: il clavicordo
La "stirpe" del pianoforte affonda le sue radici nel Medioevo, quando compare il clavicordo, strumento sulle cui origini non si sa molto. Si tratta di uno strumento a corde percosse nel quale delle tangenti metalliche, azionate dal tasto, vanno a colpire delle corde, le quali entrano così in vibrazione. Il
clavicordo è uno strumento dal timbro esile e delicato, da camera, a
suo tempo utilizzato prevalentemente per lo studio. Non è infatti uno
strumento da concerto: ha un carattere estremamente intimista, non è
adatto alla "declamazione" ma si presta altresì alla riflessione.
Ha
alle spalle una storia gloriosa e lunghissima. Sarà utilizzato
ininterrottamente fino alla seconda metà del Settecento, verrà poi
riscoperto nel secolo scorso giungendo fino ai giorni nostri con una
miriade di registrazioni, intepretazioni, su strumenti di tipo molto
diverso: da minuscoli modelli da tavolo fino a strumenti molto più
grandi, che in qualche modo ricordano gli odierni pianoforti verticali.
Un clavicordo
Come
abbiamo già accennato, nel clavicordo la corda è percossa da una
tangente di metallo, la quale rimane a contatto con la corda fintanto
che il tasto è premuto. Questa caratteristica - assente negli altri
strumenti a tastiera - consente all'esecutore, esercitando delle
specifiche pressioni sul tasto, di creare un particolare "vibrato".
Il
dito, quindi, è direttamente collegato con la corda rendendo
l'esecuzione, dal punto di vista fisico, accostabile a quella di
cordofoni come il liuto o la chitarra. Sicuramente il clavicordo, fra i
cordofoni a tastiera, è lo strumento dove la fisicità è più marcata:
l'esecutore ha infatti la possibilità di disporre di un grande controllo
della corda.
Una
delle maggiori possibilità che derivano da questo controllo, oltre al
vibrato, è proprio la presenza di una embrionale dinamica sonora piano-forte. È possibile quindi variare l'intensità del suono premendo i tasti con minore o maggiore forza.
Il clavicembalo: potenza e versatilità
Qualche secolo dopo la comparsa del clavicordo, fa il suo ingresso nel mondo degli strumenti musicali il clavicembalo. A differenza del primo, nel clavicembalo le corde anziché essere percosse da una tangente vengono pizzicate
da un plettro. Il principio di funzionamento non consente quindi di
mantenere un legame tra dito e corda dopo che essa è entrata in
vibrazione come nel clavicordo, poiché il plettro sfugge via e poi,
quando si rilascia il tasto, ritorna nella posizione di partenza.
La
meccanica del clavicembalo è più complessa rispetto a quella del
clavicordo. Nel corso della sua storia vengono messi a punto diversi registri
che consentono di ottenere timbri diversi, anche per ovviare al fatto
che non è possibile ottenere una variazione di intensità sonora, proprio
in virtù del principio di funzionamento dello strumento. Vengono
progettati e costruiti innumerevoli modelli, anche a più tastiere le
quali consentono di alternare registri diversi nello stesso pezzo, al fine di rendere lo strumento ricco di possibilità sonore ed espressive. Nascono
vere e proprie scuole che mettono a punto stili di costruzione diversi,
quindi sonorità e peculiarità che li contraddistinguono. Ricordiamo,
fra i costruttori più celebri, Ruckers (Anversa) e Taskin (Parigi). Si diffonde anche l'uso del termine "gravicembalo" per
contraddistinguere la caratteristica dello strumento di estendersi in
maniera significativa anche verso le note più gravi, a differenza di
modelli più contenuti, soprattutto per uso domestico, come la spinetta o
il virginale. (es. "Essercizi per gravicembalo" di Domenico Scarlatti - 1739 e "Sonate di gravicembalo" di Pietro Domenico Paradisi - 1754)
Clavicembalo a due manuali "Ruckers" (1637) (Museo degli Strumenti Musicali di Roma)
Il Seicento e buona parte del Settecento, oltre ad essere i secoli del Barocco sono
anche l'era, nell'ambito dei cordofoni a tastiera, del dominio
incontrastato del clavicembalo. Oltre ad essere uno straordinario
strumento solista con una specifica letteratura pressoché infinita, il clavicembalo è uno degli architravi della possente struttura del basso continuo ovvero
di quella pratica di accompagnamento di strumenti solisti o di intere
orchestre che caratterizza tutto il Barocco ed anche parte del
successivo Classicismo. Il clavicembalo, spesso assieme ad altri
strumenti quali liuto, violoncello, viola da gamba e violone,
costituisce quindi l'ossatura della parte di accompagnamento,
sviluppando l'armonia che sta dietro alle linee di basso e al contesto
armonico generale della composizione. Sono
moltissimi i compositori che, in quest'epoca hanno specificamente
scritto musica per clavicembalo, ma qui parleremo delle tre scuole
principali: l'italiana, la tedesca e la francese. In Italia Girolamo Frescobaldi
(1585-1643), organista presso S. Pietro in Roma, è uno dei padri
fondatori della letteratura cembalistica europea. Nello stesso periodo
era attivo nella Capitale anche Michelangelo Rossi (1601/1602 – 1656). Inoltre Bernardo Pasquini
(1637-1710) sviluppò ulteriormente il gusto e la tecnica
clavicembalistica. Di grande valore sono inoltre le composizioni per
clavicembalo di Alessandro Scarlatti (1660-1725), soprattutto le sue Toccate. Il Settecento rimane indissolubilmente legato al nome di Domenico Scarlatti (1685-1757, figlio di Alessandro) le cui 555 sonate per clavicembalo rappresentano una pietra miliare di tutta la letteratura per tastiera.
La scuola tedesca ha i suoi iniziatori in Johann Jakob Froberger (1616-1667, già allievo di Frescobaldi), Johann Adam Reincken (1643-1722), Dietrich Buxtehude (1637-1707) e Johann Pachelbel (1653-1706), i quali saranno i principali ispiratori tedeschi di Johann Sebastian Bach
(1685-1750), il quale realizzò nelle sue opere un'originalissima
sintesi fra la scuola tedesca ed il gusto italiano, filtrato in Germania
soprattutto grazie alle composizioni del fusignanese ma romano d'adozione Arcangelo Corelli e i veneziani Antonio Vivaldi ed Alessandro Marcello.
Le opere per clavicembalo di Bach, quali ad esempio Il Clavicembalo ben
temperato, le Variazioni Goldberg o le Suite francesi e inglesi, sono
universalmente riconosciute come alcune delle più grandi vette della
musica per tastiera (e non solo) di tutti i tempi.
La scuola francese ha fra i suoi principali esponenti la famiglia Couperin con Louis (1626-1661) e François (1668-1733), grande cembalista e didatta. La struttura della Suite, come successione di pezzi di andamento diverso, soprattutto danze tratte dalla tradizione (ad esempio Allemande, Courante, Sarabande, Menuet, Gigue) raggiunse
la sua perfezione formale proprio grazie alla scuola francese e fu
utilizzata sia sul clavicembalo che in versione orchestrale. Jean-Philippe Rameau (1683-1764), infine, fu un insigne compositore e teorico ed i suoi Trois livres de pièces de clavecin rappresentano uno dei vertici della musica clavicembalistica del '700, con passaggi di grande intensità e virtuosismo.
Nel
frattempo il clavicembalo si era guadagnato anche un ruolo solistico in
orchestra affrancandosi dalla sola funzione di basso continuo, grazie
soprattutto a J.S. Bach ed al suo Quinto Concerto Brandeburghese prima
(1720) e alla serie di tredici Concerti per uno o più clavicembali e
orchestra dopo. Degni di nota, fra gli innumerevoli, sono anche i lavori
del veneziano Baldassarre Galuppi detto il Buranello (1706-1785), il quale scrisse delle pagine molto interessanti per clavicembalo e orchestra.
Clavicembalo Dumont (1697) modificato da Taskin nel 1789 Parigi, Musée de la Musique
La connessione fra le sfumature ottenibili con l'esile clavicordo e la potenza e versatilità del clavicembalo ce la fornisce Carl Philipp Emanuel Bach (1714-1788) - uno dei più talentuosi figli di Johann Sebastian - che fu un grande compositore ma anche un valente didatta. Egli
considerava la pratica al clavicordo molto importante per perfezionare
l'esecuzione al clavicembalo. Come egli scrisse nel suo metodo per
tastiera ("Versuch über die wahre Art das Clavier zu spielen", 1753, 1762):
"Ogni
cembalista dovrebbe avere un buon clavicembalo e un buon clavicordo per
poter suonare entrambi gli strumenti alternativamente. Chi suona bene
il clavicordo riuscirà bene anche al clavicembalo, ma non viceversa."
Organisti e clavicembalisti in azione
Molti
compositori per strumento a tastiera sono nel Seicento-Settecento sia
clavicembalisti che organisti: il caso più noto è sicuramente quello di Johann Sebastian Bach,
fra i più illustri rappresentanti di una delle più prolifiche famiglie
musicali tedesche. Egli compose infatti con eguale cura e genio sia per
l'uno che per l'altro strumento. L'organo
possiede in comune con il clavicembalo la tastiera anche se la
meccanica che vi è dietro, così come il suono che viene prodotto dallo
strumento (grazie ad un mantice che invia aria nelle canne), ne fanno
uno strumento molto diverso, unico nel suo genere. A
differenza di tutti gli altri cordofoni (a tastiera e non, fatta
eccezione per strumenti come la ghironda) l'organo è in grado di
produrre un suono continuo, ininterrotto, la cui durata non è
quindi rigidamente legata alla durata della vibrazione di una corda.
Questa caratteristica consente all'organista di miscelare diversamente i
suoni, fondendoli su scale temporali dilatate. Inoltre, la
straordinaria ricchezza dei registri fa sì che sia possibile ottenere
timbri molto diversi in base al gusto e all'esigenza. Ciò
nonostante, la letteratura per clavicembalo ed organo è in molti casi
intercambiale, ciò significa che spesso è possibile eseguire al
clavicembalo pezzi originariamente concepiti per organo e viceversa, a
patto di avere davanti una struttura dei pezzi stessi che lo consenta. A
proposito di clavicembalisti-organisti, rimane scritta nella Storia la
celebre sfida al clavicembalo e all'organo fra i coetanei Domenico Scarlatti (1685-1757) e Georg Friedrich Händel (1685-1759), due giganti della musica barocca i quali, ancora molto giovani, si ritrovarono a duellare nel palazzo del Cardinale Ottoboni a Roma intorno al 1709:
"[In Italia Handel] divenne noto a Dominico Scarlatti, che oggi vive in Spagna [1], ed autore delle sue famose lezioni [2]. Giacché [Scarlatti] era
un eccellente clavicembalista, il cardinale [Ottoboni] decise di
mettere a confronto lui ed Handel per una gara di abilità. L'esito della
prova al clavicembalo è stato variamente riportato. È stato detto che
alcuni diedero la preferenza a Scarlatti. Ad ogni modo, quando si misero
all'organo, non vi fu la minima pretesa di dubitare su chi fosse il
migliore. Lo stesso Scarlatti riconobbe la superiorità del suo
antagonista, confessando candidamente che prima di aver sentito Handel
all'organo non aveva idea delle potenzialità di questo strumento. Rimase
così colpito dal suo particolare modo di suonare che lo seguì in tutta
Italia, e non era mai così felice come quando era in sua compagnia".
[1]
In realtà, all'epoca della pubblicazione del libro, Scarlatti era già
morto da tre anni, questo la dice lunga sulla velocità con la quale a
quei tempi le informazioni circolavano da un Paese a un altro. [2] Per clavicembalo
"Here
also he became known to DOMINICO SCARLATTI, now living in Spain, and
author of the celebrated lessons. As he was an exquisite player on the
harpsichord, the Cardinal [Ottoboni] was resolved to bring him and
HANDEL together for a trial of skill. The issue of the trial on the
harpsichord hath been differently reported. It has been said that some
gave the preference to SCARLATTI. However, when they came to the Organ
there was not the least pretence for doubting to which of them it
belonged. SCARLATTI himself declared the superiority of his antagonist,
and owned ingenuosly, that till he had heard him upon this instrument,
he had no conception of its powers. So greatly was he struck with is
peculiar method of playing, that he followed him all over Italy, and was
never so happy as when he was with him".
Fra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, nel solco della tradizione di sperimentazione che caratterizzava molti liutai e costruttori,
un cembalaro padovano attivo a Firenze mise a punto uno strumento che
ad una prima occhiata sarebbe potuto sembrare un clavicembalo ma che
internamente montava una meccanica diversa la quale, almeno dal punto di
vista del principio base, ricordava quella del clavicordo. Il cembalaro era Bartolomeo Cristofori (1655-1731) e lo strumento era una sorta di clavicembalo a corde percosse, per la precisione un gravicembalo con il piano e il forte, che di lì a poco verrà chiamato semplicemente fortepiano o pianoforte. È interessante notare come, nella lingua russa, ancora oggi venga utilizzato il termine fortepiano (Фортепиано) per identificare l'odierno pianoforte.
Uno dei tre esemplari superstiti del fortepiano di Bartolomeo Cristofori (1722) Museo nazionale degli strumenti musicali di Roma
Il principale obiettivo di Cristofori era quello di produrre uno strumento che consentisse all'esecutore un grande controllo dinamico, rendendo semplice ed affidabile la produzione di suoni "piano" e "forte", a seconda della pressione esercitata sul tasto. Per
far ciò costruì una batteria di martelletti ricoperti ognuno da un
feltro (la martelliera), i quali, un po' come avveniva nel clavicordo,
percuotevano le corde. Ma, a differenza del clavicordo e come nel
plettro del clavicembalo, il martelletto tornava nella sua posizione di
partenza subito dopo aver colpito la corda. Almeno
all'inizio gli strumenti di Cristofori non ebbero un grande successo,
se non in alcune corti europee. Le cose cambiarono quando fortepiani
iniziarono ad essere prodotti anche da altri costruttori, su tutti il
celebre organaro e cembalaro tedesco Gottfried Silbermann
(1683-1753), il quale basandosi sui modelli di Cristofori operò dei
perfezionamenti che di lì a poco, anche grazie ad illustri allievi quali
JoahnnesAndreasStein (1728-1792), consolidarono la meccanica dello strumento.
Bach pianista
Il
rapporto di Johann Sebastian Bach con il pianoforte probabilmente non è
ancora mai stato approfondito con la cura che meriterebbe.
Bach, ferratissimo sulla costruzione di strumenti ed aperto alle innovazioni (memorabile, fra le altre cose, il suo Lautenwerk),
provò intorno al 1735-36 due dei fortepiani messi a punto da Silbermann
dopo il 1720 e sappiamo che non ne rimase particolarmente soddisfatto: a
sua detta, pur avendo un timbro interessante, lo strumento di
Silbermann era troppo faticoso da suonare ed era debole nel registro
acuto.
Ma non fu un giudizio senza appello visto che successivamente Bach diede la sua "completa approvazione" agli strumenti del costruttore tedesco. L'orgoglioso
Silbermann, non molto aperto a critiche, stavolta aveva fatto tesoro
dei consigli e nel frattempo aveva migliorato le sue creazioni.
C'è
chi sostiene che Bach fosse particolarmente legato al nuovo strumento a
tastiera, tanto da ipotizzare che la prima voce dell'inventario degli
strumenti presenti in casa Bach alla sua morte:
"1 fournirt (impiallacciato?) Clavecin che dovrà se possibile restare in famiglia"
facesse
proprio riferimento ad un fortepiano. Il fatto che si esortava a farlo
rimanere "in famiglia" denoterebbe l'attaccamento di Bach allo
strumento.
Carl Philipp Emanuel Bach, del quale abbiamo già parlato, era dal 1740 clavicembalista della cappella reale di Federico II di Prussia,
detto "il Grande". Il Re, flautista dilettante e grande appassionato di
musica, aveva esortato più volte Bach figlio a portare suo padre a corte, dove tutti avrebbero potuto ammirare il suo leggendario talento. Quel momento finalmente arrivò nel 1747, quando Bach giunse nella sontuosa residenza di Sanssouci presso Potsdam, vicino Berlino.
Federico
II, negli anni precedenti aveva avuto modo di provare i nuovi
fortepiani prodotti da Silbermann, e ne rimase talmente entusiasta da
acquistarne in un sol colpo ben quindici esemplari, i quali furono sistemati nelle varie stanze del palazzo.
J. S. Bach, quella sera in cui visitò il Re e la sua corte, fu amichevolmente "costretto" a provare tutti gli strumenti.
L'unico superstite fra i 15 fortepiani Silbermann acquistati da Federico II, ancora oggi visibile nella residenza di Sanssouci presso Potsdam.
Era
allora pratica diffusa quella di dare ad un musicista un tema sul quale
sviluppare delle improvvisazioni, prevalentemente polifoniche. Con il
"vecchio Bach" il Renon
fu da meno: gli sottopose un tema cromatico piuttosto complesso (che
con ogni probabilità era stato accuratamente preparato in precedenza)
sul quale Bach, nello stupore generale, improvvisò una fuga a 3 voci; poi, dopo averlo un po' modificato, Bach vi costruì sopra una seconda fuga, ma stavolta a 6 voci. Promise infine a Federico II che avrebbe sviluppato le possibilità offerte da quel tema in un'opera a lui dedicata, "L'Offerta Musicale".
Il "Thema Regium"
Pare che le fughe basate sul famoso "Thema Regium",
sul quale era stato richiesto a Bach di improvvisare polifonicamente,
fossero state eseguite proprio su uno dei 15 fortepiani di Silbermann
presenti assieme a dei clavicembali nel palazzo di Sanssouci.
Ed
è tutt'altro che remota l'ipotesi che l'intera "Offerta Musicale",
basata proprio su quel tema e sul quel particolare momento musicale,
fosse in realtà destinata al fortepiano anziché al clavicembalo, come
comunemente oggi si ritiene. Infatti non esistono indicazioni esplicite
sullo specifico strumento a tastiera solista da impiegare.
"Con
reverenziale piacere ricordo ancora la particolare sovrana grazia con
la quale, tempo fa, durante una mia visita a Potsdam, Vostra Maestà si
degnò di eseguire alla tastiera il tema per una fuga, ordinandomi
di svilupparla subito alla Sua augusta presenza. Fu mio deferente
dovere obbidire al comando di Vostra Maestà."
Così recita uno dei passaggi della dedica dell'Offerta Musicale a Federico II.
Il termine "tastiera" in tedesco è qui reso semplicemente con Clavier ("ein Thema zu einer Fuge auf dem Clavier mir vorzuspielen geruheten") ed è solo con questo termine che per lungo
tempo si identificarono indistintamente le tastiere, indipendentemente
dal loro essere un clavicordo, un clavicembalo o un fortepiano.
Oggi, nella lingua tedesca, con il termine Klavier si
intende più nello specifico il moderno pianoforte, ma all'epoca di Bach
tale distinzione era, dal punto di vista linguistico, piuttosto
irrilevante, a meno che non vi fosse l'esplicita intenzione di riferirsi
ad un particolare tipo di strumento a tastiera, come nel caso del
termine più tardo Hammerklavier, ossia tastiera con martelletti.
Va
da sè che in quella sera del 7 maggio del 1747, a Sanssouci la vera
novità ed il vero protagonista dal punto di vista costruttivo dev'essere
stato proprio il fortepiano. Come abbiamo accennato, Federico II
era talmente entusiasta del nuovo strumento da acquistarne addirittura
15 esemplari da Silbermann. Non erano più gli acerbi strumenti che Bach
aveva provato dieci anni prima, ma dei modelli sicuramente più evoluti,
anche grazie ai consigli dello stesso Johann Sebastian.
In
quell'occasione Bach improvvisò molto e possiamo ritenere che sia il Re
di Prussia che tutto il suo seguito di musicisti e cortigiani ivi
presente fossero particolarmente interessati, in quel momento, nel
vedere il Maestro confrontarsi con l'ultimo grido nel campo della
costruzione delle tastiere, strumento che peraltro già gli era
familiare.
Vi
è inoltre anche un altro episodio documentato nel quale Bach dimostra
il suo interessamento per il fortepiano e ne esorta la diffusione,
ovvero un'attività di intermediazione che egli compì nel 1749 per lo
stesso Silbermann nella vendita di uno dei fortepiani del grande
costruttore.
Il
rapporto di Bach col pianoforte rappresenta un ulteriore elemento che
contribuisce ad abbattere il mito che ha avvolto il compositore di
Eisenach per tanto tempo, di un uomo austero, legato al passato,
tradizionalista ed accademico, chiuso alle innovazioni.
Nonostante
sia vero che Bach, fino alla sua morte, abbia coltivato e perfezionato
forme ed architetture musicali che nel gusto musicale del tempo erano
sempre più demodé, è al tempo stesso vero che la sua grande apertura mentale
lo portò, fin dalla gioventù, ad esplorare le nuove sonorità che
giungevano in Germania dall'estero, come ad esempio la stravaganza, la
brillantezza e la profondità di quanto arrivava dall'Italia e dalla
Francia. Queste novità, come abbiamo accennato sopra, divennero parte
integrante del suo stile.
Inoltre,
c'è chi sostiene che il mancato incontro nel 1719 con il coetaneo
Handel, già navigato operista, e Bach stesso, il quale aveva viaggiato a
lungo per incontrarlo, avrebbe potuto aprire anche una stagione
operistica nella carriera di Bach, cosa che non potè mai avvenire
giacché Bach arrivò in ritardo di qualche giorno all'appuntamento.
Infine, ilQuaderno di Anna Magdalena Bach. Negli
anni 1722-1725 Bach stesso selezionò pezzi suoi e di altri compositori e
ne fece una raccolta che donò alla moglie. Fra le altre, vi sono
presenti numerose
composizioni ad opera del giovane figlio Carl Philipp Emanuel (il quale
all'epoca aveva circa dieci anni!), le quali già parlano una lingua che
in qualche modo prefigura la cantabilità e l'immediatezza dello stile
galante. Prova del fatto che casa Bach era comunque attraversata da
nuove tendenze e linguaggi, che venivano liberamente esplorati. Non è
quindi un caso se lo stesso Carl Philipp Emanuel divenne, di lì a pochi
anni, il principale traghettatore del gusto barocco nell'era del
classicismo, guadagnandosi la venerazione di tutti i principali
compositori dell'epoca, come vedremo fra poco.
In
un ambiente chiuso e settario, come poteva apparire nell'immaginario
collettivo la famiglia Bach, dove regnavano rigide ed imperturbabili
regole musicali, ciò sarebbe stato inimmaginabile e quindi geni
innovatori come Carl Philipp Emanuel, Wilhelm Friedmann e Johann
Christian Bach non avrebbero mai potuto vedere la luce.
Il fortepiano si fa strada
La prima opera conosciuta scritta espressamente per fortepiano fu la raccolta di "12 sonate da cimbalo di piano e forte detto volgarmente di martelletti", pubblicate nel 1732 dal pistoiese Lodovico Giustini.
In quell'epoca, il fortepiano era ancora uno strumento di nicchia ed
era ben lungi dall'essere il protagonista delle scene europee che invece
divenne circa trent'anni dopo. Nel frattempo, verso la metà del
Settecento, il gusto musicale continuava a mutare: lo stile galante e l'empfindsamer stil (o "stile sentimentale", espressione del movimento Sturm und Drang) facevano incursione nel linguaggio musicale e preludevano a quello che a breve sarebbe stato il primo Classicismo e quindi il Romanticismo.
Il
contrasto di umori, più o meno repentino, anche all'interno della
stessa composizione, la tendenza alla melodia ed una significativa
diminuzione dell'utilizzo della polifonia e del contrappunto sono solo alcune delle trasformazioni in corso.
Così com'era sempre avvenuto nella Storia della Musica, anche stavolta gli strumenti musicali dovevano essere funzionali al linguaggio, ma al tempo stesso il linguaggio doveva potersi servire degli strumenti del periodo, in uno scambio dialettico
che da una parte potesse tradurre le nuove esigenze espressive in
possibilità strumentali, dall'altra che spingesse a migliorare gli
strumenti nella direzione di un maggiore accordo con le necessità del
musicista.
Un fortepiano "Stein" (1775)
Fu così che la seconda metà del Settecento vide l'esplosione del fortepiano parallelamente allo sviluppo dello stile Classico. Haydn (1732-1809), Mozart (1756-1791) e Clementi (1752-1832)
furono solo alcuni dei protagonisti di questo periodo, che vide un
forte sviluppo della letteratura specifica del "gravicembalo con il
piano e il forte". Periodo che coincide con l'affermazione di grandi
costruttori tedeschi come Stein, Walter (ai quali accostiamo sicuramente il nome di Mozart) e di tutta la scuola inglese (fra cui Broadwood), alla quale fra gli altri era particolarmente legato Clementi.
Fortepiano "Walter" posseduto da Mozart nell'ultima parte del suo periodo viennese
Le cinquantadue
sonate di Haydn rappresentano tuttora delle pagine di grande valore per
la nascita del pianismo della scuola Viennese, le quali servirono da
ispirazione per le prime sonate di quello straordinario musicista che
divenne, di fatto, il principale protagonista della scena musicale della
seconda metà del Settecento: Wolfgang Amadeus Mozart.
Genio
precocissimo (componeva già dall'età di cinque anni), si impose ben
presto come un talento universale, riuscendo a spaziare con grande
facilità in tutti gli ambiti della musica del periodo, dalla musica
strumentale all'opera, alla musica sacra.
La musica per tastiera riveste un'importanza considerevole nella sua opera complessiva, parliamo di 18 sonate
più numerose variazioni e pezzi sparsi, fino ad arrivare a monumentali
concerti per pianoforte e orchestra. Il tutto, di fondamentale importanzaper la totalità della musica che avrebbe visto la luce dopo di lui.
Negli stessi anni Mozart divideva la scena del pianismo europeo con il romano di nascita ma inglese d'adozione Muzio Clementi,
solo di pochi anni più anziano, al quale fu successivamente
riconosciuto il grande apporto dato, per molti anni, allo sviluppo della
tecnica pianistica, attraversando tanti stili e generi(memorabile è il suo metodo "Gradus ad Parnassum") e del pianoforte romantico.
Le cronache del celebre duello
al fortepiano fra Mozart e Clementi, che ebbe luogo davanti
all'imperatore Giuseppe II d'Austria, ci restituiscono il tenore del
confronto fra questi due giganti.
Clementi
non fece una buona impressione su Mozart, il quale rimproverò
all'avversario soprattutto uno sfoggio di tecnica fine a se stesso,
senza inventiva, a sua detta da mero mechanicus.
Clementi, al contrario, dal canto suo lodò ampiamente l'esibizione di Mozart, riconoscendogli grande creatività ed inventiva.
Per
l'imperatore fu praticamente impossibile decretare il vincitore di
questo scontro fra titani, quindi il duello si concluse sostanzialmente
in parità.
Oltre a una grande produzione in campo solistico, emergono sempre più i concerti per fortepiano e orchestra, traducendo la tradizione già consolidata da un cinquantennio del concerto per clavicembalo e orchestra.
In
questo senso, il fortepiano va progressivamente a sostituire il
clavicembalo in veste sia solista che in orchestra, anche se in
quest'epoca di transizione, di fatto, non vi fu mai una contrapposizione
fra i due strumenti. Mozart,
ad esempio, si formò sia sul clavicembalo che sul fortepiano. Lo stesso
dicasi per Clementi, il quale, ad esempio, oltre ad aver previsto
l'intercambiabilità fra i due strumenti in molte sue sonate, scrisse il
suo unico concerto per tastiera e orchestra specificando che poteva
essere eseguito indifferentemente sia su fortepiano che su clavicembalo.
Ed è interessante notare come questo sia avvenuto in un'epoca in cui il
fortepiano era già molto affermato, parliamo infatti del 1796. Inoltre, le diciture "Clavicembalo 1mo" e "Clavicembalo 2do" per l'organico della celebre sonata in re maggiore KV448 di Mozart del 1784 (peraltro legata al suggestivo "Effetto Mozart"), sono un ulteriore indicatore del doppio volto degli strumenti a tastiera del periodo:
Ancora
per molto, il clavicembalo continuerà anche ad essere il centro del basso
continuo nelle esecuzioni orchestrali del primo classicismo, nonchè il
principale accompagnatore dei recitativi nelle rappresentazioni
operistiche, almeno fino ai primi dell'Ottocento, quando questa pratica
di accompagnamento fu progressivamente abbandonata.
Verso il Romanticismo
L'Ottocento è, per buona parte, il secolo del Romanticismo.
I tratti distintivi di questo movimento artistico sono rintracciabili
sicuramente nel tardo Barocco quindi nel primo Classicismo, in quel
periodo di transizione di cui abbiamo parlato che vede sensibilità come
lo Sturm und Drang e l'influenza dell'Illuminismo fare irruzione nei vari campi artistici, nello specifico nella produzione musicale.
Due dei figli di J.S. Bach, Carl Philipp Emanuele Wilhelm Friedemann,
da questo punto di vista, furono fra i principali precursori del
Romanticismo, specialmente per quanto riguarda la loro produzione per
tastiera.
L'influenza
di C.P.E. Bach sui suoi "discendenti" musicali fu enorme, fu infatti
stimato e preso a modello da intere generazioni di musicisti, da Haydn a
Mozart, da Beethoven a Brahms, i quali in più occasioni non mancarono
di rimarcare il forte debito che avevano nei suoi confronti.
Il
Romanticismo musicale, così come lo intendiamo oggi, si fonda quindi su
quegli elementi estetici che emersero già nella produzione musicale
della seconda metà del Settecento e che furono trasportati nell'Ottocento
principalmente dal Classicismo Viennese (Haydn, Mozart, Beethoven). È
proprio nel XIX secolo che la "gestione" romantica del sentimento prende
il sopravvento ed il pianoforte viene elevato a simbolo di questa
trasformazione.
È in questo contesto di transizione che emerge Ludwig Van Beethoven (1770-1827).
Il lascito pianistico di Beethoven consiste in trentadue sonate, numerose variazioni e molti altri pezzi, nonché grandi concerti per pianoforte e orchestra.
Tutto questo corpus è un preciso indicatore dello sviluppo musicale del
compositore, che nel solco del Classicismo vienneseaffermò la sua
straordinaria statura approdando a soluzioni musicali sempre più personali. Forte
della lezione di Haydn, Mozart e Clementi, Beethoven pone le basi della
rivoluzione pianistica che consentirà ai grandi nomi del pianismo
ottocentesco Franz Schubert (1796-1828, già legato alla scuola Viennese), Fryderyk Chopin (1810-1849), Franz Liszt (1811-1886) e Johannes Brahms (1833-1897)di attraversare il secolospingendo
la tecnica pianistica sempre più in avanti, al tempo stesso richiedendo
all'esecutore un virtuosismo sempre più marcato.
Due strumenti (Broadwood e Graf) appartenuti a Beethoven
Fortepiani e pianoforti
Verso i primi dell'Ottocento, il clavicembalo iniziò ad essere abbandonato in favore del fortepiano, il quale si era sempre più reso funzionale al linguaggio musicale del tempo.
I
perfezionamenti tecnici fecero del fortepiano uno strumento sempre più "perfetto"
dal punto di vista costruttivo. L'estensione della tastiera andava
sempre più aumentando, quella che prima era una ginocchiera posta sotto
alla tastiera divenne un vero e proprio pedale di risonanza come
lo conosciamo oggi, al quale se ne affiancarono almeno altri due, il
pedale "una corda" e il pedale "tonale". Il numero delle corde per tasto
aumentò, rendendo il suono più potente. Inoltre, la disposizione delle
corde stesse, sia nei modelli a coda che nei verticali, si distaccò
dalla disposizione perpendicolare alla tastiera tipica dei fortepiani
prodotti fino a quel momento. Infine, ai telai in legno verranno
incastonati pesanti telai in ghisa.
Secondo una recente distinzione linguistica, iniziamo quindi a parlare propriamente di pianoforte quando, nell'Ottocento, la quantità di modifiche
apportate determinano un distacco sostanziale dall'originario
fortepiano, il quale conservava ancora un forte legame costruttivo con
il clavicembalo ed in generale con tutta l'arte cembalara precedente. Questa
definitiva affermazione, come abbiamo accennato, coincide sicuramente
con il maturare dell'estetica romantica. Anche stavolta, come in
passato, i pianisti e compositori del periodo possono far affidamento su
grandi costruttori, che contribuiscono a fissare una volta per tutte le
"specifiche" del pianoforte così come lo conosciamo oggi. Fra i nomi più importanti che caratterizzano questo periodo storico spiccano sicuramente quelli dei francesi Erard e Pleyel, che associamo immediatamente ai nomi di grandi pianisti e compositori come Chopin e Liszt.
Il Novecento
L'Ottocento si chiude con il superamento dell'estetica romantica in favore di altre sensibilità musicali, su tutte l'Impressionismo di cui Claude Debussy (1862-1918)e Maurice Ravel (1875-1937) sono i principali esponenti ed il cui pianismo riveste una enorme importanza.
La strada è quindi spianata per il Novecento, che vedrà il fiorire di numerose correnti artistiche (come ad esempio la Seconda Scuola Viennese)
le quali traghetteranno il pianoforte (la cui evoluzione costruttiva
all'epoca è già pressoché completa da decenni) nell'era contemporanea. Nel frattempo, già dalla fine dell'Ottocento, il pianoforte si fa strada in altri ambiti musicali. È il caso del ragtime,
genere prevalentemente pianistico interamente nato e sviluppatosi negli
Stati Uniti, soprattutto ad opera di geniali compositori ed esecutori
come Scott Joplin. Il ragtime fu poi uno degli elementi musicali che andranno a comporre il multiforme mosaico del jazz, a partire dagli anni '10 del Novecento, all'interno del quale il pianoforte riveste un'importanza speciale. Nel
corso del Novecento il settore pianistico assume sempre più forme
industriali e consolida l'architettura del moderno pianoforte. Si
affermano grandi marchi i quali nel tempo diverranno dei veri e propri must all'interno concerti ed eventi. Su tutti la Steinway & Sons,
industria di New York, diventa con i suoi prestigiosi strumenti una
presenza diremmo imprescindibile nella stragrande maggioranza dei
momenti musicali pubblici o delle incisioni. Si
affermano nel tempo vere e proprie esclusive per alcuni grandi
interpreti, i quali scelgono di associare il proprio nome al marchio:
uno dei casi più celebri è quello di Glenn Gould (famoso
sopratutto per le sue originali interpretazioni di Bach), il cui nome è
indissolubilmente legato al timbro ed alle peculiarità proprio degli
strumenti Steinway.
Interpretazioni storiche e filologia
Con l'esplosione ottocentesca del pianoforte, strumenti come il clavicembalo ed il clavicordo furono sostanzialmente accantonati. Al tempo stesso, composizioni espressamente concepite per clavicembalo venivano, spesso maldestramente, interpretate esclusivamente su pianoforte. Ma tra la fine del diciannovesimo secolo e l'inizio del ventesimo, emerge la necessità di ricercare le autentiche sonorità che si celavano, tanto per fare un esempio, dietro alla monumentale opera per tastiera di Bach. Quindi, anche grazie al rinvigorirsi della tradizione cembalara che mette in atto la modernizzazione dello strumento (grazie soprattutto a case come Wittmayer e Neupert), nascerà dilì a poco una scuola di intepreti che nel giro di un cinquantennio porterà dalle pionieristiche interpretazioni di Wanda Landowskaalla scuola moderna capeggiata da musicisti come Gustav Leonhardt
.
Un moderno clavicembalo da concerto "Wittmayer"
Dalla metà del Novecento, nascono vere e proprie scuole interpretative che mirano a ristabilire un rapporto il più possibile autentico fra lo strumento e la composizione, specialmente per quanto riguarda il repertorio fino alla prima metà dell'Ottocento. Le esecuzioni storiche ed in generale le intepretazioni su strumenti dell'epoca o su riproduzioni moderne di strumenti antichi (non solo tastiere ma anche archi e fiati), hanno come principale obiettivo una ricerca che non si esaurisce in un esercizio di tipo archeologico sperimentale; piuttosto, il fine primario è quello di sintonizzarsi il più possibile con lo spirito e l'essenza della composizione, attraverso uno studio costante della prassi esecutiva dell'epoca,associataall'utilizzo degli strumenti e delle tecnologie allora disponibili. L'impiego di un solo tipo di strumento, moderno, per interpretare indistintamente un repertorio di circa quattrocento anni, inevitabilmente mette a tacere una vasta gamma di peculiarità, che possono emergere solo se si impiega lo strumento giusto nel modo giusto. Così facendo, la composizione assume forme nuove, imprevedibili e nuovi colori e sfumature appaiono improvvisamente. Nel solco di questa rivoluzione interpretativa, parallelamente all'evoluzione della nuova scuola clavicembalistica (composta principalmente dal già citato Gustav Leonhardt, Karl Richter, Ton Koopman, Davitt Moroney, Bob Van Asperen, Ottavio Dantone) sono emersi grandi fortepianisticome Steven Lubin, Ronald Brautigam, Robert Hill e Andrea Coen, i quali hanno gettato una luce nuova sul repertorio pianistico settecentesco e ottocentesco, consentendo quindi al grande pubblico un ascolto ancor più interessante e consapevole.