martedì 7 luglio 2015

Alle radici del doppiaggio

Per un italiano è normalissimo accendere la tv oppure andare al cinema e quindi confrontarsi con film non italiani. Storie prodotte ed ambientate in altri Paesi appartengono infatti alla nostra quotidianità. 
Ma, curiosamente, accettiamo come una cosa altrettanto normale che i personaggi di queste storie, pur essendo francesi, americani, inglesi, spagnoli ecc. parlino la nostra identica lingua. Donne, uomini, bambini, anziani, divi e non di un altro Paese, provengono da un Paese diverso dal nostro, eppure, sorprendentemente, parlano un perfetto italiano.
Tutto ciò è possibile per mezzo di un escamotage che consente di approcciare al film con estrema facilità, anche se non si comprendono altre lingue all'infuori dell'italiano.

Stiamo parlando, naturalmente, del doppiaggio.


Alle origini del doppiaggio

Dobbiamo tornare indietro fino agli anni '30 del '900 per rintracciare le origini della tecnica del doppiaggio, quando, subito dopo l'avvento del sonoro, il mercato cinematografico vive un'espansione che travalica i confini nazionali del singolo Paese produttore di film. 
Soprattutto ad Hollywood, si manifesta l'esigenza di rendere fruibili a livello mondiale delle pellicole interpretate in inglese, le quali altrimenti, all'infuori degli Stati Uniti, avrebbero avuto la possibilità di essere comprese nel solo Regno Unito.
È in questo contesto che, dopo esperimenti iniziali - anche un po' maldestri - come il girare lo stesso film più volte in lingue diverse, viene messa a punto la tecnica del doppiaggio sostanzialmente come la conosciamo oggi. In ogni Paese le voci degli attori vengono quindi sostituite da altrettante voci di attori "autoctoni", i quali dopo un attento e complesso lavoro di traduzione, adattamento e sincronizzazione, sostituiscono con la propria voce quella originale. 




In alcuni Paesi il doppiaggio è andato via via perfezionandosi, dando vita alla figura professionale dell'attore doppiatore, ovvero un attore teatrale o cinematografico specializzato nella pratica del doppiaggio. La tecnica è divenuta sempre più precisa, la voce doppiata è andata nel tempo ad integrarsi sempre meglio all'interno della colonna sonora della scena, anche grazie alla evoluzione delle attrezzature utilizzate.
Ciò nonostante, in altri Paesi tale pratica è pressoché sconosciuta e tradizionalmente i film stranieri vengono distribuiti in lingua originale accompagnati da sottotitoli.


Il doppiaggio in Italia 

L'Italia si è distinta negli anni per la quantità ma soprattutto per la qualità dei suoi attori doppiatori. 
È memorabile la voce del personaggio di Ollio (interpretato da Oliver Hardy), con evidente e comico accento inglese, prestata già dalla fine degli anni '30 da Alberto Sordi; ma soprattutto rimane scolpita nella storia del doppiaggio italiano la voce di Emilio Cigoli, il quale anch'egli a partire dagli anni '30, presta la sua voce ai più grandi divi di Hollywood del momento: Clark Gable, Gary Cooper, Humphrey Bogart, Gregory Peck e tanti altri. La voce di Cigoli è eccezionale, oseremmo dire che è quasi perfetta. Come del resto erano "perfette" le voci di tanti suoi colleghi e colleghe che negli stessi anni si cimentavano nel doppiaggio, come ad esempio Tina Lattanzi, la cui voce è legata alle figure delle dive Greta Garbo, Rita Hayworth e Marlene Dietrich, solo per citarne alcune.


Nella sua prima stagione il doppiaggio era perlopiù praticato da attori provenienti dal teatro o dalla prosa radiofonica. Queste origini professionali garantivano una eccezionale qualità della voce associata ad una dizione ineccepibile. Per questo motivo, se pensiamo al cinema doppiato degli anni '30, '40 o '50, in particolare a quello americano, ci vengono subito in mente delle voci straordinarie, "da film", appunto. Ma al tempo stesso queste voci contribuirono a creare intorno a molti film soprattutto hollywoodiani un'aura di sogno e di incanto ed anche in storie che avrebbero richiesto un'interpretazione vocale più realistica, gli interpreti rimanevano fedeli alla loro impostazione teatrale, praticando una frattura fra quanto si guarda e quanto si ascolta.

Alla fine degli anni '60, però, si fa strada un nuovo stile di doppiaggio, soprattutto grazie al talento di un giovane Ferruccio Amendola.
La voce di Amendola è tutt'altro che perfetta, almeno se si valuta secondo i canoni allora in voga: è sporca, irriverente, credibile. Tutte caratteristiche che si adattano alla perfezione ai personaggi interpretati dalla nuova generazione di attori americani che allora si stava facendo strada e che caratterizzerà tutti gli anni '70: fra tutti Dustin Hoffman, Al Pacino, Robert De Niro e Sylvester Stallone. I drammi hollywodiani lasciano sempre più il posto a film "da strada", realistici, d'azione, drammi interiori e storie di tutti i giorni. 
È grazie a questa rivoluzione nell'interpretazione che il doppiaggio si avvicina all'esigenza di rendere in maniera più credibile la performance dell'attore che si sta doppiando.

La scuola moderna di doppiatori italiani vanta attori del calibro di Luca Ward, Riccardo Rossi, Francesco Pannofino, Emanuela Rossi e tanti altri. Si tratta di attori di grande talento, che spesso si cimentano anche in ruoli che esulano dallo specifico contesto del doppiaggio. In questo senso, il caso più eclatante è forse quello di Francesco Pannofino, il quale nonostante la sua voce fosse già molto nota al grande pubblico - è infatti il doppiatore di Denzel Washington e George Clooney, fra gli altri -, ha ottenuto un successo clamoroso - mettendoci "la faccia" - soprattutto grazie alla serie tv "Boris".


Alterazioni

In molti, abituati alla voce "fittizia" di Marlon Brando (che nel tempo è stata prestata da diversi attori italiani ma prevalentemente da Giuseppe Rinaldi), hanno gridato allo scandalo dopo aver ascoltato la sua vera voce, che in quanto a "bellezza" non era, a detta loro, minimamente paragonabile alla versione italiana. Per questo motivo, molte persone sono portate a considerare il doppiaggio un miglioramento, un generoso regalo elargito all'attore. 

Ecco una celebre sequenza, doppiata in italiano, del film "A streetcar named Desire" (Un tram che si chiama desiderio) del 1951. Una delle migliori performance di Marlon Brando e della grande attrice Vivien Leigh, che qui sono impegnati nella versione cinematografica (diretta da Elia Kazan) dell'omonimo dramma di Tennessee Williams.





Ed ecco invece, grosso modo la stessa sequenza, in versione originale:






Sappiamo bene che la performance cinematografica è il risultato dell'interazione tra una serie di fattori, visuali e sonori. Un attore, ovviamente, non è solo fisicità e la voce è un elemento essenziale della sua personalità. Nella sequenza appena citata la differenza fra doppiaggio e versione originale è abbastanza marcata. Il modo di parlare di Marlon Brando e di Vivien Leigh sono un tutt'uno con la loro gestualità e la loro presenza scenica, al servizio del registro drammatico della storia raccontata che qui appare molto "vero". Tutto ciò si va irrimediabilmente perdendo nella versione italiana.



Possiamo renderci conto in maniera precisa di quanto la voce doppiata sia distante dalla impostazione della voce di un attore "normale", in scene nelle quali entrambi (un attore doppiato ed uno non doppiato) si trovano ad interagire nello stesso momento. Accade spesso, specialmente nelle coproduzioni con Paesi stranieri , che un attore italiano reciti in presa diretta o si ridoppi, ma in ogni caso mantenga la propria voce, ed un altro attore invece, straniero, sia doppiato. In casi come questi, i dialoghi, ad un orecchio attento, possono apparire surreali poiché l'attore italiano non è un doppiatore e indipendentemente dalla qualità della sua prestazione, recita con una voce "reale", fatta di imperfezioni e di sfumature; al contrario, l'attore doppiato sembra che arrivi da un altro pianeta, tanto la sua voce è perfetta ed irreale. Nel caso di due personaggi di opposta estrazione e provenienza, questo contrasto potrebbe in parte auto-giustificarsi, ma in situazioni in cui non vi è una particolare differenza nei personaggi, tutto ciò appare inspiegabile e stridente.

Tutto potrebbe risolversi facilmente se solo il doppiatore, in contesti come quello appena esposto, adattasse la sua recitazione a quella dell'interlocutore, apparendo più plausibile e naturaleInvece lo "stile" che deriva dall'essere doppiatore rimane pressoché invariato in ogni contesto. 


Anche se tale stile vocale ed interpretativo dei doppiatori attuali è molto più moderno rispetto a quello dei loro illustri predecessori, alla base dell'operazione di doppiaggio rimane ancora oggi un principio fondante: l'alterazione dell'opera cinematografica.

Ecco alcuni fattori che determinano tale alterazione:

  • il passaggio da una lingua ad un'altra richiede necessariamente una riscrittura dei dialoghi per far sì che, nella nuova lingua, lo stesso concetto possa essere espresso nello stesso intervallo temporale e seguendo il più possibile il labiale. Questo adattamento richiede molto spesso dei cambiamenti più o meno sostanziali ai dialoghi stessi, nonché la totale rimozione del ritmo e della musicalità che può scaturire da un dialogo originale scritto appositamente per ottenere un determinato effetto in una determinata lingua. 


  • quando nella versione originale si parla più di una lingua, il doppiaggio il più delle volte annulla questa particolarità, applicando indistintamente a tutti i personaggi la stessa lingua. Questa pratica è largamente utilizzata, ad esempio, nella trilogia de "Il Padrino": nella versione originale l'italiano (o comunque delle varianti italoamericane) viene sovente alternato all'inglese. Lo spettatore che ha sempre e solo conosciuto la versione italiana del film, purtroppo non può immaginare l'interessante passaggio da una lingua a un'altra, come in realtà avviene, ad esempio, nella classiche scene riportate qui sotto.







  • anche se il timbro della voce del doppiatore può in qualche modo ricordare quella dell'attore doppiato, l'operazione di doppiaggio annulla irrimediabilmente il contributo vocale dell'attore, il quale in ultima analisi, nella versione doppiata del film porterà esclusivamente un contributo visivo.



  • soprattutto nel cinema americano, la recitazione viene prevalentemente lasciata in presa diretta. Ciò significa che le battute che ascoltiamo sono realmente quelle pronunciate in quella scena, in quel particolare momento emotivo. Il doppiaggio, purtroppo, cancella questa caratteristica, sostituendo la spazialità della presa diretta con il distacco e la artificiosità della sala doppiaggio.


Non è quindi possibile, per mezzo di un film doppiato, elaborare una valutazione complessiva della recitazione di un attore, proprio perché a causa del doppiaggio tale recitazione ci viene resa solo a metà.

Inoltre, in film in cui i dialoghi hanno un ruolo predominante, come ad esempio nelle commedie di Woody Allen, l'operazione di doppiaggio può diventare un vero e proprio incubo, vista la velocità delle battute, i doppi sensi, il ritmo che il regista imprime al film proprio per mezzo dei dialoghi in lingua inglese. Le straordinarie performance di Oreste Lionello - storico doppiatore di Allen - non si discutono, ma non si può apprezzare appieno il cinema del grande attore e regista newyorkese se non ci si è mai confrontati con le versioni originali.



Doppiare o non doppiare?

Come dicevamo, in molti Paesi il doppiaggio non è praticato e fra i metodi usati per rendere fruibile il film a persone che non conoscono la lingua originale, si ricorre ai sottotitoli.
Il pubblico italiano è tradizionalmente ostile a questa pratica, soprattutto a causa dell'esposizione prolungata - da quasi 90 anni - a film doppiati. Ma nonostante questa avversità, negli ultimi anni si è registrata una diversa predisposizione verso i sottotitoli, grazie alla enorme diffusione delle serie tv non italiane, le cui versioni originali arrivano in Italia con maggiore velocità rispetto a quelle doppiate. 
Molti appassionati hanno avuto quindi la possibilità di apprezzare (o disprezzare, a seconda dei casi) la reale recitazione degli attori coinvolti, altrimenti menomata dalla gigantesca impalcatura (mirabile ma fuorviante) del doppiaggio.

Il punto, in questo tipo di discussioni, non è stabilire in maniera univoca e universale se un'opera doppiata sia migliore o peggiore dell'originale. Questa è una valutazione soggettiva che attiene esclusivamente alla sensibilità e al gusto personale. Il punto è invece prendere coscienza del fatto che il film originale e il film doppiato sono due cose diverse. Di conseguenza, se si vuole risalire alla vera natura dell'opera, è necessario ricorrere alla versione originale.


Non ha dubbi a riguardo il regista Marco Tullio Giordana:

"La versione originale di un film è sempre preferibile, perché il doppiaggio comporta inevitabilmente un certo tradimento. Doppiare un film non è come tradurre un romanzo, ma come tradurre una poesia: si tratta di un lavoro complicato. Il mio sogno cinefilo è che per tutti film distribuiti in Italia fosse prevista la programmazione di una copia in originale".
Sullo stesso registro, anche se più possibilista, è anche il regista Pupi Avati:
"Da regista odio il doppiaggio, quando, per problemi tecnici, devo doppiare alcune parti dei miei film soffro da morire. Da spettatore non saprei dire se un film sia più penalizzato dai sottotitoli, che sottraggono qualcosa alla visione, o dal doppiaggio. Ciò che mi infastidisce nelle versioni italiane è un certo compiacimento nella recitazione che si nota spesso nei nostri pur bravissimi doppiatori".  
In entrambi i casi risalta il legittimo amor proprio del regista per la propria opera, che inevitabilmente, dopo il doppiaggio, cambia, diventa un'altra cosa. 
Lo sapeva bene Andrej Tarkovskij quando al festival di Venezia del 1972, assistendo alla proiezione del suo "Solaris" si dovette confrontare con un doppiaggio che stravolgeva il senso originario del film, cosa che lo spinse a richiedere la rimozione immediata del suo nome dai titoli. 

La diffusione di internet e la gigantesca circolazione di film e serie tv contribuisce alla conoscenza della reale entità di un'opera. Il fatto che oggi su dvd/blu-ray siano disponibili il sonoro originale ed i sottotitoli (cosa impensabile già solo nell'era dei VHS), fa sì che tutti possano apprezzare la versione originale.

Il doppiaggio rappresenta innegabilmente una facilitazione poiché rende più fluida la visione, evitando di dover seguire i sottotitoli, almeno per chi non conosce la lingua in questione. Ma nel tempo un tale ausilio può divenire un vizio, rendendo estremamente faticoso il passaggio a versioni non doppiate. E probabilmente tale sforzo è ciò che frena i curiosi nel momento in cui decidono di cimentarsi in un film in lingua originale. Ciò nonostante, è uno sforzo che vale la pena di fare: il mondo che si apre davanti a noi guardando un film così come è stato concepito dagli autori è inaspettatamente interessante ed entusiasmante.


Jurij Nascimben

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