lunedì 15 febbraio 2016

"Joy": felicità e intraprendenza nell'era delle televendite

Joy (Jennifer Lawrence), sullo sfondo degli Stati Uniti di trenta o quaranta anni fa, è una ragazzina dotata di un talento particolare e tutto suo: inventa cose. Nonostante, da piccola, la nonna le abbia predetto un futuro luminosissimo denso di successi e soddisfazioni, la vita sembra non sorridere a questa Cenerentola dell'epoca delle televendite: deve occuparsi dei figli, di un ex marito che inspiegabilmente vive nella sua cantina di casa e che sogna un futuro da cantante, della mamma maniaca di soap-opera e della ormai anziana nonna. Come se non bastasse, nella sua vita piomba improvvisamente il padre, anch'egli separato, che Joy sistema nel seminterrato a convivere con l'ex marito, dopo aver accuratamente tracciato i confini della stanza con della carta igienica. Su questo quadretto grava la presenza della "perfida" sorellastra, che sembra voler ostacolare ogni tentativo che la povera Joy compie, giorno dopo giorno, di emanciparsi da questo stato precario, per spiccare il volo della realizzazione personale.



In questa casa dove la famiglia, anche se in una ragnatela di relazioni piuttosto anomale, è riunita ed attua una convivenza in fin dei conti positiva, Joy si occupa di tutto, addirittura di riparare i guasti idraulici. Finché un bel giorno, esausta, la ragazza decide di dare una svolta alla sua vita: battere fino in fondo la strada della creatività, contro tutto e tutti, tentando di mettere sul mercato una delle sue originalissime invenzioni. In un baleno Joy si ritrova a dover fare i conti con avvocati, brevetti e linee di produzione in fabbrica, tracciando una parabola che, tra alti e bassi, la porterà a cadere e a rialzarsi più volte, ma senza mai perdersi d'animo.

Se Sergio Leone aveva detto di Clint Eastwood (ai tempi di "Per un pugno di dollari") che aveva solo due espressioni: "con il cappello e senza il cappello", qualcuno oggi, ispirandosi al grande visionario dello spaghetti-western, potrebbe arrivare alla conclusione, parlando di Jennifer Lawrence, che possiede una sola espressione. Punto.
Un po' come quando il duo Verdone-Montesano, ne "I due carabinieri", si cimentava nello sguardo "pronto, acuto e profondo", ottenendo invariabilmente la stessa improbabile faccia comica.

A parte le battute, guardando la sua performance in Joy, Jennifer Lawrence pur con grandissimo impegno e dedizione, sembra essere stata catapultata di forza sul set hollywodiano da un mondo diverso da quello del cinema, forse da quello dei videoclip, delle moderne sit-com o dei balletti di titanici concerti pop.

In Joy la giovane Jennifer Lawrence ha sulle spalle tutto il peso di un film interessante, ispirato a fatti realmente accaduti. Anche se la trama è tutt'altro che ricercata ed originale, la pellicola avrebbe dato di per sè alla protagonista degli ottimi spunti interpretativi, tutt'altro che banali. Ma forse ci sarebbe voluta la forza di un'attrice con un pizzico di esperienza in più, per esplorare le diverse fasi della vita tutt'altro che monotona della protagonista?



Non spendiamo molte parole per Robert De Niro (sì, avete capito bene, De Niro, sì, lo stesso di Taxi Driver e Toro Scatenato), nella parte del padre di Joy che coltiva nuove relazioni con un servizio telefonico di appuntamenti ante litteram. De Niro ormai sembra essersi votato ad essere un "accessorio". Ormai ampiamente collaudata l'espressione sopra le righe del papà comico ma premuroso (messa a punto nel ciclo di Ti presento...), De Niro imposta pigramente il pilota automatico facendo sfoggio di due o tre espressioni sicure e porta a casa la pagnotta. Onestamente. 
Nulla da eccepire, se non che il De Niro che ricordavamo probabilmente è un omonimo misteriosamente scomparso una ventina d'anni fa.

Isabella Rossellini veste invece i panni di una facoltosa signora italiana la quale, oltre a diventare la compagna del padre di Joy grazie agli incontri telefonici, diverrà la principale finanziatrice della ragazza. La figlia di Ingrid Bergman e del padre del neorealismo sembra a suo completo agio con la lingua inglese e la sua parte risulta una delle più convincenti, soprattutto perché guardando il film in lingua originale non si è costretti a sopportare per due ore il suo italiano ucciso da un marcatissimo accento francese, anche se, per questa volta, sembra che la Rossellini (nella versione italiana) sia stata doppiata da Rossella Izzo. Grazie al cielo.

Fanno da contorno un bravo Bradley Cooper, manager di successo che, di fatto, porta Joy al successo, un convincente Edgar Ramirez, l'ex marito di Joy che improvvisa una sala prove nella cantina di casa, sognando un futuro da cantante di successo; Dasha Polanco, nella parte dell'amica del cuore di Joy, che sosterrà la ragazza nelle sue imprese ed infine Elisabeth Röhm, nei panni della sorellastra "amore e odio".

Tutto sommato, il film risulta molto gradevole. Nonostante tutto potremmo dire che per il regista David O. Russell la prova è quasi del tutto riuscita, nel senso che, a parte tutte le critiche possibili ed immaginabili che si possono fare a recitazione e direzione, il film scorre ed anche abbastanza bene, regalando anche siparietti piuttosto divertenti, come la rievocazione delle soap degli anni '70 o la mamma che si invaghisce di un giovane ed affascinante idraulico haitiano.

Certo è che per Jennifer Lawrence sarà difficile presentarsi agli Oscar 2016 contro la Cate Blanchett di Carol. Non c'è sfida, ovviamente. E chi ha visto Carol sa di cosa parlo. Ma Lawrence avrà comunque la soddisfazione di un'ulteriore nomination (la terza, per la precisione) ed un Oscar già ottenuto nel 2013. Che già di per sè non è poco, alla sua età.
Anche perché se dagli anni '60 il grande Clint, con solo "due espressioni" è riuscito a costruire una carriera straordinaria di attore e regista, l'attrice ventiseienne non può che ben sperare per il suo futuro. Non le resta che mettere a punto la seconda espressione ed il gioco è fatto. 

Scherzi a parte, in bocca al lupo!


Jurij Nascimben
(testo sotto licenza CreativeCommons

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